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LOCAZIONI AGEVOLATE: ANCORA DUBBI SUL RINNOVO

Il recente intervento normativo che ha fissato in due anni la relativa durata potrebbe essere costituzionalmente illegittimo

10/12/2020

Permangono i dubbi sulle modalità di rinnovo dei contratti di locazione a uso abitativo c.d. agevolati (per intenderci il 3+2). Alla scadenza del biennio e nel caso in cui non vi sia stata disdetta, il contratto si rinnova secondo lo stesso schema (3+2), oppure di tre anni in tre anni, oppure ancora di due anni in due anni? In un lungo obiter dicta di una recente sentenza, aggiornata agli ultimi chiarimenti normativi intervenuti nel 2019, la Suprema Corte ha voluto esprimere una serie di considerazioni in diritto sulla problematica in questione, che pare ancora lontana da una definitiva risoluzione (Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2020, n. 11308).

I contratti di locazione a uso abitativo c.d. agevolati.

Si tratta di una particolare categoria di contratti di locazione - definiti, con varia terminologia, a canone concordato, vincolati, agevolati, calmierati - che sono stati introdotti dall'art. 2, comma 3, della Legge n. 431/98 come alternativi ai contratti a canone libero (c.d. 4+4), nei quali, come è noto, il locatore può stabilire discrezionalmente la misura del canone.

Nei contratti vincolati, al contrario, il canone deve essere contenuto nella misura prevista da specifici accordi territoriali pattuiti tra le associazioni rappresentative dei proprietari e degli inquilini. Il sacrificio del locatore è comunque compensato da una serie di agevolazioni fiscali.

La disciplina vincolistica dei predetti contratti concerne, oltre all'importo del canone di locazione, anche la loro durata, riguardo alla quale si prevede che: a) essa non possa essere inferiore ai tre anni (quindi anche per un periodo superiore); b) alla prima scadenza la medesima sia prorogata di diritto per due anni, a meno che le parti non si accordino per un rinnovo o il locatore non formuli la disdetta (nei casi tassativamente previsti dall'art. 3 della Legge n. 431/98); c) alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti abbia diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza; d) ove la comunicazione sub c) non venga effettuata, il contratto si rinnovi tacitamente alle medesime condizioni (art. 2, comma 5, quarto periodo, Legge n. 431/98).

La questione del rinnovo contrattuale.

Proprio quest'ultima disposizione ha aperto un ampio dibattito in dottrina e nella giurisprudenza di merito circa la durata del rinnovo contrattuale, sia per le conseguenze civilistiche che per i risvolti di natura tributaria (in considerazione delle agevolazioni fiscali previste per i contratti in questione).

Al riguardo sono state prospettate tre diverse soluzioni. Si è infatti affermato che il rapporto debba intendersi rinnovato:

a) di altri tre anni (o comunque per un periodo pari alla durata inizialmente pattuita);

b) per un ulteriore periodo di tre anni (o comunque per un periodo pari alla durata inizialmente pattuita), sempre seguito da una proroga biennale;

c) di soli due anni.

I dubbi sulla validità ed efficacia del recente chiarimento normativo del 2019.

Con disposizione di chiaro carattere interpretativo il Legislatore è infine intervenuto per fornire una risposta definitiva ai dubbi sollevati dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Con la Legge n. 58 del 28 giugno 2019 - di conversione del D.L. n. 34/2019 - è stato infatti inserito nel testo del decreto legge l'art. 19-bis, recante «Norma di interpretazione autentica in materia di rinnovo dei contratti di locazione a canone agevolato».

La disposizione in questione prevede quindi che il quarto periodo del comma 5 dell'articolo 2 della Legge n. 431/98 debba interpretarsi nel senso che, in mancanza della comunicazione ivi prevista, il contratto è rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio (sposando così apertamente una delle tre ipotesi sopra indicate).

È stato così chiarito dal Legislatore che ciascuna delle parti, almeno sei mesi prima della scadenza del biennio di proroga ex lege, può assumere l'iniziativa per rinnovare il contratto a nuove condizioni o, al contrario, per determinarne la cessazione degli effetti (cioè, per la disdetta).

In assenza di una delle predette comunicazioni, si verifica un tacito rinnovo alle medesime condizioni economiche e di durata biennale.

Detta cadenza biennale è poi destinata ad applicarsi anche ai successivi ed eventuali rinnovi, pur sempre condizionati al fatto che nessuna delle parti abbia preso l'iniziativa per modificare l'accordo o per concludere il rapporto contrattuale.

Tuttavia, secondo la Suprema Corte, vi sono seri dubbi sulla legittimità costituzionale di questa disposizione legislativa, in ragione delle particolari modalità di introduzione della norma in questione nell'ordinamento giuridico.

La stessa, infatti, è stata inserita ex novo in una legge di conversione di un decreto legge.

Ma, secondo l'orientamento interpretativo seguito dalla Corte Costituzionale, le disposizioni della legge di conversione in quanto tali non sono valutabili, sotto il profilo della legittimità costituzionale, autonomamente dal decreto stesso, quanto alla sussistenza dei motivi di urgenza.

La semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto legge non vale infatti a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità.

E, secondo la Cassazione, nella specie è assai difficile individuare un collegamento tra il predetto art. 19-bis e le altre disposizioni del decreto legge, nel quale non si fa cenno alcuno alla disciplina sostanziale in tema di locazione.


(FONTE ESTERNA: www.condominioweb.com)

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