IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO
I vari tipi di regolamento, il contenuto, l’applicazione e le conseguenze in caso di violazione
Il regolamento di condominio contiene tutte le norme relative all’uso dei beni comuni, ai diritti e agli obblighi dei condomini e così via.
In buona sostanza, come dice il nome, regola la vita di condominio, indicando le norme da seguire, ad esempio, sulla ripartizione delle spese e sul decoro del palazzo.
Il regolamento condominiale può incidere sul diritto di proprietà del singolo? Vincola anche il nuovo acquirente?
La presente guida cerca di fornire una risposta agli interrogativi più frequenti.
Sommario
Che cos’è il regolamento condominiale?
La normativa di riferimento
La natura del regolamento condominiale
Le tipologie di regolamento condominiale
a. Il regolamento contrattuale o convenzionale
b. Il regolamento assembleare o maggioritario
c. Il regolamento adottato coattivamente (giudiziale)
Schema regolamento contrattuale e assembleare
Regolamento condominiale: che cosa contiene?
a. Il regolamento e gli animali domestici in condominio
b. Le clausole limitative della proprietà
c. Casistica
Norme del regolamento e norme di legge: cosa fare in caso di contrasto?
Chi deve far rispettare il regolamento condominiale?
Il regolamento condominiale e il conduttore
Regolamento condominiale: come viene adottato?
Regolamento condominiale: come modificarlo?
a. Modifica al regolamento contrattuale
b. Modifica al regolamento assembleare
Quale maggioranza serve per la modifica del regolamento condominiale?
L’impugnazione del regolamento
Le sanzioni previste in caso di inosservanza del regolamento condominiale
1. Che cos’è il regolamento condominiale?
Il regolamento di condominio contiene un insieme di regole che tutti i condomini devono rispettare; si può anche considerare come la «legge interna del condominio» (R. CUSANO, Il nuovo condominio, Napoli, Ed. Simone, 2015, 137). La giurisprudenza lo ha definito lo «statuto della collettività condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti per tutti i componenti di detta collettività» (Cass. 12342/1995). Il regolamento, come dice il nome, regola la vita di condominio, indicando le norme da seguire sull’uso dei beni comuni, sulla ripartizione delle spese, sul decoro del palazzo e così via (art. 1138 c. 1 c.c.). È sempre redatto in forma scritta a pena di nullità (Cass. S.U. 943/1999) e si trova allegato nel registro dei verbali, tenuto dall’amministratore (art. 1130 c. 1 n. 7 c.c.). L’adozione del regolamento condominiale è obbligatoria negli stabili in cui il numero di condomini sia superiore a dieci (art. 1138 c. 1 c.c.), mentre la presenza dell’amministratore è prevista come obbligatoria nei condominii che abbiano più di otto condomini (art. 1129 c. 1 c.c.). Si rimanda alla guida sull’amministratore di condominio, paragrafo 9.
Tornando al regolamento condominiale, la mancata adozione nel caso in cui siano presenti undici o più condomini non determina sanzioni, ma comporta che ciascun proprietario possa attivarsi affinché l’assemblea provveda ad adottarlo.
Il regolamento ha effetto verso i condomini e anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti
(art. 1107 c. 2 in quanto richiamato dall’art. 1138 c.c.).
2. La normativa di riferimento
Le norme di riferimento sul regolamento condominiale si trovano nel Codice civile, in particolare, si citano:
l’art. 1138 c.c. contenente le regole di portata generale, l’indicazione delle maggioranze per la sua
approvazione, il contenuto, le norme inderogabili,
l’art. 72 disp. att. c.c. sulle sanzioni previste in caso di inosservanza del regolamento,
l’art. 155 disp. att. c.c. che indica le disposizioni di attuazione considerate inderogabili.
3. La natura del regolamento condominiale
Il regolamento condominiale può essere di due tipi: contrattuale (o convenzionale) e assembleare (o maggioritario), esiste anche il regolamento adottato coattivamente (giudiziale), ma si tratta di un’ipotesi residuale. Tale classificazione riguarda la genesi del regolamento e incide sulla sua natura. Infatti, la natura contrattuale del regolamento fa sì che lo stesso possa incidere sui diritti dei singoli condomini inerenti alle parti comuni e anche sulla proprietà esclusiva di ciascuno, viceversa, la natura assembleare del regolamento impedisce l’inserimento di clausole che incidano sui diritti dei singoli.
Ad esempio, hanno natura contrattuale le clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive, come il divieto di destinare l'immobile a studio dentistico o a circolo o a negozio, ovvero le clausole che incidono sulle proprietà comuni, introducendo limitazioni all'uso delle scale o dei cortili.
In particolare, il regolamento contrattuale si configura come un contratto plurilaterale, avente una pluralità di parti e scopo comune (Cass. 12850/2008).
Cosa significa?
La natura plurilaterale del contratto comporta che, ad esempio, l’azione di nullità del regolamento sia esperibile non nei confronti dell’amministratore (che risulta carente di legittimazione verso una simile domanda), ma verso tutti i condomini, in litisconsorzio necessario (Cass. 12850/2008).
Si rimanda al paragrafo successivo.
4. Le tipologie di regolamento condominiale
Il regolamento condominiale può essere contrattuale (o convenzionale) e assembleare (o maggioritario). In via residuale, si segnala la possibilità che il regolamento sia adottato coattivamente in sede giudiziale. Di seguito, si tratteggia una rapida sintesi delle diverse tipologie.
Il regolamento contrattuale o convenzionale
Il regolamento contrattuale o convenzionale solitamente è predisposto dall’originario proprietario di tutto lo stabile (nella maggior parte dei casi, si tratta del costruttore). Tale regolamento è espressamente richiamato all’interno degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari e ciascun condomino vi aderisce al momento dell’acquisto. Il regolamento viene quindi: allegato all’atto di compravendita o richiamato in esso, accettato dall’acquirente in sede di compravendita.
Si parla di regolamento convenzionale anche con riferimento a quello adottato da tutti i condomini,
all’unanimità, in assemblea o adottato da tutti i condomini e sottoscritto da essi.
Il regolamento contrattuale vincola tutti i condomini e anche i successivi acquirenti. Dal momento che il regolamento può contenere delle limitazioni alla proprietà esclusiva, è necessario che l’acquirente lo abbia accettato per iscritto in modo inequivocabile.
A tal proposito, si segnala l’esistenza di due tesi contrapposte:
secondo una di esse, il regolamento contrattuale vincola anche i successivi aventi causa purché sia stato trascritto (Cass. 21024/2016), secondo un’altra teoria, il regolamento contrattuale vincola i successivi proprietari, purché sia stato richiamato nell’atto di acquisto, senza che sia necessaria la trascrizione, in quanto deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cass. 19212/2016; Cass. 22310/2016).
In merito alla seconda teoria, la giurisprudenza (Cass. 19212/2016; Cass. 10523/2003; Cass. 395/1993;
Cass. 4905/1990) ha affermato che «le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti, di loro esclusiva proprietà purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione nell'atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto […]. La trascrizione, salvo i casi in cui le sono attribuite particolari funzioni soltanto notiziali oppure costitutive, è destinata normalmente a risolvere i conflitti tra diritti reciprocamente incompatibili, facendo prevalere quello il cui atto
di acquisto è stato inserito prioritariamente nel registro immobiliare. Presupposto indefettibile dell'operatività dell'istituto è quindi la concorrenza di situazioni giuridiche soggettive che risultino in concreto inconciliabili, alla stregua dei titoli da cui rispettivamente derivano. Una tale situazione di conflitto non si verifica però quando una proprietà viene espressamente acquistata come limitata da altrui diritti, per i quali una precedente trascrizione non è quindi indispensabile, in quanto il bene non è stato trasferito come libero, né l'acquirente può pretendere che lo diventi a posteriori, per il meccanismo della "inopponibilità"».
Facciamo un esempio.
La clausola del regolamento di condominio di un palazzo, che imponga il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini a determinate attività ritenute incompatibili con l'interesse comune, come ad esempio il divieto di destinare l’immobile a studio odontotecnico: secondo la prima tesi, per essere opponibile ai successivi aventi causa a titolo particolare, necessita di trascrizione, in quanto trattasi di servitù;
secondo la tesi alternativa è sufficiente che il regolamento sia stato richiamato nel contratto di compravendita e accettato dall’acquirente, senza necessità di trascrizione. La prima teoria riconduce la limitazione sulla destinazione d’uso alla servitù, «l'opponibilità ai terzi acquirenti dei limiti alla destinazione delle proprietà esclusive in ambito condominiale va regolata secondo le norme proprie di questa [ossia della servitù], e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso»
(Cass. 21024/2016). Pertanto, solo la trascrizione del regolamento vincola tutti i successivi acquirenti con riferimento:
alle clausole che disciplinano l'uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni,
alle clausole che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive,
venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Cass. 3749/1999; Cass. n. 14898/2013).
Per la seconda teoria, invece, la clausola per essere opponibile all’acquirente deve essere menzionata e accettata espressamente nei singoli atti d'acquisto.
Il regolamento contrattuale prevale sulle norme del Codice civile, fatte salve le disposizioni espressamente indicate come inderogabili e le norme imperative.
Il regolamento assembleare o maggioritario
Il regolamento assembleare è adottato dall’assemblea condominiale con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (art. 1138 c. 3 c.c. che richiama l’art. 1136 c. 2 c.c.). Ogni condomino può assumere l’iniziativa per l’adozione del regolamento rivolgendosi
all’amministratore, che dovrà convocare l’assemblea.
Il regolamento, una volta adottato, vincola alla sua osservanza tutti i condomini al pari di una delibera assembleare. Il contenuto di tale forma di regolamento è più limitato in quanto, a differenza di quello contrattuale, non può incidere:
sui diritti dei singoli condomini,
sulle parti comuni,
sulle parti di proprietà esclusiva.
A titolo esemplificativo, quindi, il regolamento assembleare non può contenere:
divieti di destinazione (ad esempio, non può vietare di adibire l’immobile ad uso commerciale),
vantaggi a favore di alcuni condomini e a scapito di altri.
Da quanto sopra emerge che il regolamento assembleare si limita a dettare norme che disciplinano l’uso e le modalità di godimento delle cose comuni, la ripartizione delle spese e la tutela del decoro architettonico.
Il regolamento adottato a maggioranza può occuparsi dell’uso delle cose comuni, purché ne sia assicurato il pari uso a tutti i condomini (Cass. 12873/2005).
Tale regolamento non è soggetto a trascrizione, ma deve essere allegato al registro dei verbali, come già detto nel paragrafo 1.
Il regolamento adottato coattivamente (giudiziale)
In via residuale, si segnala che:
se il numero dei condomini è superiore a dieci (e, quindi, l’adozione del regolamento sia obbligatoria) e l’assemblea non provvede o non si trova un accordo o rigetta la richiesta di formazione del regolamento, ciascun condomino, nel silenzio o nel rifiuto dell’adunanza assembleare, può adire l’autorità giudiziaria. In tale circostanza, il giudice può approvare il regolamento formato su iniziativa di un condominio, come prevede l’art. 1138 c. 2 c.c., nondimeno, il magistrato non può predisporlo autonomamente (Cass. 12291/2011). Il regolamento viene così adottato coattivamente e ha efficacia vincolante per tutti i condomini dopo il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. 1218/1993). Infatti, ai sensi dell’art. 2909 c.c., l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.
5. Schema: regolamento contrattuale e assembleare
6. Regolamento condominiale: che cosa contiene?
Il regolamento di condominio contiene le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione (art. 1138 c. 1 c.c.). Quindi, il regolamento deve contenere:
i dati identificativi dello stabile (i riferimenti catastali), l’indicazione delle parti comuni dell’edificio, delle pertinenze, delle parti coperte e scoperte, le regole per l’uso delle parti comuni, come il giardino, la piscina, il lastrico, il parcheggio; ad esempio, possono essere indicati gli orari in cui è possibile fruire della piscina o del parco giochi, o gli orari per alcune immissioni rumorose;
le norme sulla ripartizione delle spese sulle parti comuni, ad esempio, tramite la tabella riscaldamento, la tabella ascensore, la tabella scale e così via (si rinvia alla guida sulle tabelle condominiali);
le regole sul decoro dell’edificio, ad esempio, in merito alla facciata condominiale, alla possibilità di affiggere targhe o installare antenne;
le regole sull’amministrazione dello stabile, ad esempio, sulla scelta dell’amministratore, sulla presenza di consiglieri, sull’assemblea e così via.
Il regolamento e gli animali domestici in condominio
Il regolamento sia esso contrattuale o assembleare non può vietare di possedere o detenere animali domestici. Lo prevede espressamente l’art. 1138 c. 5 c.c., pertanto, sono nulle le clausole contenute nel regolamento che vietino la detenzione degli animali domestici. In buona sostanza, la norma ha introdotto il diritto di coabitazione con il proprio animale di affezione (E. ZICCARDI, Cani, gatti e Co., collana il Diritto di tutti , Milano, Giuffrè, 2016, 93). La disposizione parla espressamente di animali domestici, ossia di animali posseduti per compagnia o ragioni affettive, come cani, gatti, uccellini, criceti et cetera . Per contro, permane il divieto di detenere animali pericolosi ai sensi della legge 150/1992.
Assodato che il nuovo art. 1138 c.c., come modificato dalla legge di riforma del condominio (legge 220/2012), esclude la possibilità che il regolamento vieti di detenere animali domestici, si pone il problema se tale disposizione sia derogabile, quantomeno dal regolamento contrattuale. Sul punto, si segnalano
diversi orientamenti:
va considerata nulla qualsiasi clausola contraria all’art. 1138 c. 5 c.c., contenuta nei regolamenti, siano essi contrattuali o assembleari (in tal senso, Trib. Cagliari ord. 22.07.2016) è ammissibile l’inserimento del divieto di detenere animali, in deroga all’art. 1138 c. 5 c.c., nei regolamenti contrattuali adottati all’unanimità da parte di tutti i condomini (in tal senso, Trib. Piacenza 142/2020).
Si discute, altresì, se il comma introdotto nell’art. 1138 c.c. si applichi retroattivamente o meno; nella prima ipotesi, eventuali clausole di divieto sarebbero affette da nullità sopravvenuta, nella seconda ipotesi, invece, le clausole preesistenti manterrebbero la propria vigenza.
Infine, il diritto di possedere animali è circoscritto alle proprietà esclusive, infatti, la norma non riguarda i beni comuni. Pertanto, deve considerarsi legittima la clausola regolamentare che vieti di portare l’animale domestico in ascensore (Trib. Monza 28.03.2017).
Le clausole limitative della proprietà
Il regolamento contrattuale, a differenza di quello assembleare, può contenere clausole limitative della proprietà, sia dei beni esclusivi che di quelli comuni. Le suddette clausole possono:
limitare la destinazione d’uso delle proprietà esclusive,
limitare le facoltà dei condomini, sia sulle proprietà esclusive che comuni,
attribuire ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri.
Ad esempio, al fine di garantire la tranquillità e il decoro dello stabile, il regolamento può vietare che il proprietario destini a locale commerciale il proprio immobile. Oppure, una clausola può contenere il divieto di trasformare una cantina in abitazione.
Oppure, circa la limitazione dei poteri e della facoltà dei condomini, il regolamento può contenere il divieto si stendere i panni sul balcone o limitazioni nell’uso del cortile.
Dal momento che tale regolamento incide sul potere del proprietario di godere e disporre del proprio bene, è necessario che la formulazione sia perspicua e che le attività vietate siano indicate espressamente. In buona sostanza, la clausola che contenga limiti e divieti deve essere chiara, esplicita e incontrovertibile, in quanto non sono ammesse interpretazioni di carattere estensivo o analogico (Cass. 21307/2016).
Casistica
La giurisprudenza, nel tempo, ha fornito una ricca casistica delle clausole inserite nel regolamento contrattuale. Elenchiamo alcune di esse.
È lecita la clausola del regolamento contrattuale che vieti qualsiasi intervento modificativo sulla struttura dell’edificio, a prescindere dall’alterazione del decoro architettonico (Cass. 1748/2013).
È valida la clausola del regolamento contrattuale che, in ipotesi di distacco dall’impianto centralizzato, ponga a carico del condomino distaccato l’obbligo di contribuzione alle spese per il relativo uso in aggiunta a quelle di conservazione (Cass. 12580/2017).
È valida la clausola di natura contrattuale che divida le spese di manutenzione per i beni comuni in parti uguali e non in misura proporzionale al valore della proprietà, in quanto tale ultimo criterio (art. 1123 c.c.) è derogabile per convenzione (Cass. 22824/2013). Infatti, i criteri di ripartizione delle spese indicati dalla legge sono segnatamente tre: il riparto proporzionale (art. 1123 c. 1 c.c.), quello in base all’uso differenziato (art. 1123 c. 2 c.c.) e quello in base all’uso separato (art. 1123 c. 3 c.c.). Al di fuori di questi metodi di divisione delle spese, sono ammissibili “criteri in deroga”, l’art. 1123 c. 1, ultimo alinea, fa salva ogni diversa convenzione. Per un approfondimento vedasi la guida sulle spese condominiali, paragrafo 9.
7. Norme del regolamento e norme di legge: cosa fare in caso di contrasto?
L’art. 1138 c. 4 indica espressamente i limiti contenutistici del regolamento stabilendo che:
le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni;
in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137.
Riassumendo:
il regolamento contrattuale può derogare al primo limite (ossia può incidere sui diritti dei singoli comunisti), mentre ciò è precluso al regolamento assembleare;
ambedue le tipologie di regolamento non possono derogare alle disposizioni menzionate.
Le norme del regolamento non possono derogare alle disposizioni degli articoli:
1118 c. 2 c.c. in materia di diritti dei partecipanti sulle parti comuni, esclude la possibilità per il condomino di rinunciare al suo diritto sulle parti comuni;
1119 c.c. stabilisce l’indivisibilità dei beni comuni, fatta salva la decisione assunta all’unanimità che, in ogni caso, non renda l’uso della cosa incomodo ai condomini;
1120 c.c. in materia di innovazioni,
1129 c.c. in materia di nomina, revoca e obblighi dell’amministratore,
1131 c.c. in materia di rappresentanza dell’amministratore,
1132 c.c. circa il dissenso dei condomini rispetto alle liti,
1136 c.c. sulla costituzione dell’assemblea e sulla validità della deliberazione,
1137 c.c. sull’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea.
Inoltre, il regolamento di condominio non può derogare alle seguenti disposizioni di attuazione al Codice civile (art. 72 disp. att.):
art. 63 disp. att. c.c. sulle modalità di riscossione dei contributi,
art. 66 disp. att. c.c. sulle modalità di costituzione e convocazione dell’assemblea,
art. 67 disp. att. c.c. sulle modalità di partecipazione all’assemblea,
art. 69 disp. att. c.c. sui casi in cui possono essere modificati i valori proporzionali delle singole unità immobiliari come espresse nelle tabelle millesimali.
L’art. 155 c. 2 disp. att. c.c. prevede che cessano di avere effetto le disposizioni dei regolamenti di condominio che siano contrarie alle norme richiamate nell'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. e nell'art. 72 disp. att. c.c. In conclusione, le clausole contenute in un regolamento condominiale che siano in contrasto con le norme indicate come inderogabili sono nulle e vanno disapplicate.
L’art. 1138 c.c. prevede che ciascun condomino possa impugnare il regolamento (si rinvia al paragrafo 13).
8. Chi deve far rispettare il regolamento condominiale?
L’amministratore di condominio, tra le varie attribuzioni, è gravato dall’onere di curare l’osservanza del regolamento (art. 1130 c. 1 n. 1 c.c.). L’amministratore può sollecitare i condomini al rispetto del regolamento, egli ha titolo per promuovere una lite al fine di ottenere il rispetto del regolamento anche senza previa delibera, in virtù del potere che gli viene riconosciuto dagli artt. 1130 e 1131 c.c. (Cass. 11841/2012). In buona sostanza, per far cessare gli abusi da parte del condomino inadempiente o inosservante delle clausole regolamentari, l’amministratore è legittimato ad agire in giudizio, senza la specifica approvazione del consesso assembleare. Ad esempio, può evocare il giudizio il condomino che batta i tappeti fuori dalle finestre in orari non consentiti dal regolamento (Cass. 14735/2006).
>> Si rimanda alla guida sull’amministratore di condominio.
Inoltre, come vedremo meglio nel paragrafo 14, per le infrazioni al regolamento di condominio, ove espressamente previsto, può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie L'irrogazione della sanzione è deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del Codice (art. 71 disp. att. c.c.).
9. Il regolamento condominiale e il conduttore
Il regolamento condominiale vincola tutti i condomini ed è obbligatorio anche per il conduttore. Nell’ipotesi in cui l’inquilino sia inadempiente alle norme in esso contenute, il condominio può agire direttamente nei suoi confronti. Tuttavia, se il proprietario dell’unità immobiliare locata non ha accettato il regolamento, neppure il conduttore può essere chiamato ad osservarlo (Cass. 10185/2012).
In caso di violazioni del regolamento, il locatore deve adoperarsi affinché il conduttore cessi la condotta inadempiente, adottando misure idonee. Nell’ipotesi in cui non si attivi in tal senso, il condominio può agire nei suoi confronti. Ad esempio, se l’inquilino reiteratamente viola l’orario di chiusura stabilito nel regolamento, il locatore deve agire contro di esso per ottenere la risoluzione del contratto (Cass. 11383/2006). Infatti, il proprietario è responsabile delle violazioni del regolamento, anche se operate dal conduttore; il locatore deve imporgli contrattualmente il rispetto del regolamento, prevenirne le violazioni e sanzionarle anche mediante la cessazione del rapporto (Cass. 8239/1997). Ad esempio, se l’inquilino muta la destinazione abitativa dell’immobile trasformandolo in un ambulatorio, in violazione del divieto regolamentare, il locatore deve far ricorso ai rimedi di legge, come l’art. 80 legge 392/1978 in materia di uso diverso da quello pattuito.
Nel caso di violazione di un divieto contenuto in un regolamento contrattuale, il condominio può chiedere la cessazione sia al conduttore che al locatore; se si agisce verso l’inquilino, si verifica un litisconsorzio necessario con il proprietario che deve partecipare al giudizio (Cass. 4920/2006). Viceversa, qualora sia convenuto in giudizio solo il proprietario (e non il conduttore) non si verifica il litisconsorzio (Cass. 16240/2003).
10. Regolamento condominiale: come viene adottato?
L’art. 1138 c.c. stabilisce l’obbligatorietà del regolamento, allorché i condomini siano più di dieci, ma non pone l’obbligo della sua redazione in capo al venditore delle singole unità abitative, che ne sia anche il costruttore. Al contrario, la norma pone tale obbligo a carico dei singoli condomini (Cass. 2742/2012).
Si precisa che la circostanza che il costruttore abbia predisposto il regolamento non lo rende automaticamente contrattuale. Infatti, la natura convenzionale del regolamento dipende dal contenuto delle sue clausole, pertanto, «il regolamento predisposto dall'originario, unico proprietario o dai condomini con consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue clausole si limitino a disciplinare l'uso dei beni comuni pure se immobili» (Cass. S.U. 943/1999).
11. Regolamento condominiale: come modificarlo?
La possibilità di modifica del regolamento varia a seconda della tipologia.
Come la redazione del regolamento deve avvenire per iscritto, a pena di nullità, lo stesso accade per la sua modifica. Deve, pertanto, escludersi la possibilità di un cambiamento per facta concludentia , ossia di una modifica derivante dalla circostanza che per un certo tempo i condomini abbiano adottato un comportamento difforme da quello prescritto in una clausola regolamentare. Infatti, secondo la giurisprudenza (Cass S. U. 943/1999) «ritenuto che il regolamento di condominio per essere valido debba risultare da un atto scritto, è indubbio che la stessa forma sia richiesta per le sue modificazioni perché queste, risolvendosi nell’inserimento nel documento di nuove clausole in sostituzione delle originarie, non possono non avere i medesimi requisiti di esse».
Di seguito, analizziamo le due diverse ipotesi.
Modifica al regolamento contrattuale
Il regolamento contrattuale può essere modificato dai condomini. Le modalità sono diverse a seconda della tipologia di clausola che si vuole emendare. Ricordiamo che «a determinare la contrattualità dei regolamenti sono esclusivamente le clausole di essi limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l'immobile a studio radiologico, a circolo ecc.) o comuni (limitazioni all'uso delle scale, dei cortili ecc.), ovvero quelle clausole che attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri» (Cass. S.U. 943/1999).
Quindi:
sono modificabili solo all’unanimità le clausole che incidono sulla sfera dei diritti soggettivi e degli obblighi dei condomini, sono modificabili con la maggioranza di cui all’art. 1136 c. 2 c.c. (1/2 intervenuti e 500 millesimi) le clausole che riguardano gli interessi impersonali della collettività dei condomini, come l’organizzazione o
il funzionamento dei beni comuni (Cass. 3733/1987).
In ambo i casi, come abbiamo visto, «per la modifica di clausole del regolamento di condominio contrattuale è richiesto il consenso, manifestato in forma scritta ad substantiam di tutti i partecipanti alla comunione» (Cass. S.U. 943/1999).
Modifica al regolamento assembleare
Il regolamento condominiale assembleare può essere modificato con una delibera assembleare adottata dalla maggioranza degli intervenuti e da almeno la metà del valore dell’edificio, in prima e in seconda convocazione.
12. Quale maggioranza serve per la modifica del regolamento condominiale?
Come abbiamo visto, il regolamento condominiale contrattuale può essere modificato con una delibera assembleare adottata all’unanimità, nel caso in cui la modifica riguardi le clausole che incidono sui diritti soggettivi e sugli obblighi dei condomini; viceversa, nell’ipotesi in cui la clausola abbia natura regolamentare, ossia riguardi le modalità d’uso delle cose comuni, l’organizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, è modificabile a maggioranza, benché sia inserita in un regolamento contrattuale (Cass. 208/1985).
Il regolamento condominiale assembleare può essere modificato con una delibera assembleare adottata dalla maggioranza degli intervenuti e da almeno la metà del valore dell’edificio.
La maggioranza richiesta è quella indicata dall’art. 1136 c. 2 c.c., vale a dire: la maggioranza degli intervenuti, almeno la metà del valore dell'edificio.
13. L’impugnazione del regolamento
Il regolamento condominiale (o una delle clausole in esso contenute) è soggetto ad impugnazione, essa è rivolta verso:
tutti i condomini, in caso di regolamento convenzionale (Cass. 9317/2009, Cass. 12850/2008),
l’amministratore, in caso di regolamento assembleare.
L’impugnazione è volta a fare valere la nullità o annullabilità del regolamento o di un suo articolo. Quindi, la nullità può essere fatta valere in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse (quindi, anche da un condomino che abbia votato favorevolmente alla deliberazione) e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, l’annullabilità può essere fatta valere solo dai condomini che non abbiano espresso voto favorevole alla deliberazione.
In merito alla nullità, si riporta quanto già detto nel paragrafo 4, ossia la natura plurilaterale del regolamento contrattuale comporta che l’azione di nullità del regolamento sia esperibile non nei confronti dell’amministratore, che risulta carente di legittimazione verso una simile domanda, ma nei confronti di tutti i condomini, in litisconsorzio necessario (Cass. 12850/2008).
Il regolamento può essere impugnato con le regole previste in materia di comunione. Infatti, l’art. 1138 c. 3 richiama espressamente l’art. 1107 c.c. Tale disposizione prevede che i dissenzienti e gli assenti possano impugnare davanti all'autorità giudiziaria il regolamento:
entro trenta giorni dalla deliberazione che lo ha approvato (dissenzienti),
entro trenta giorni da quando è stata comunicata la deliberazione (assenti).
Decorso il termine indicato dal comma precedente senza che il regolamento sia stato impugnato, questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti (art. 1107 c. 2 c.c.). Ricordiamo che la materia condominiale è soggetta al preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione (d.lgs. 28/2010). Inoltre, talvolta, il regolamento condominiale prevede delle apposite clausole che impongono la conciliazione o la devoluzione della controversia ad un arbitro (clausola arbitrale).
14. Le sanzioni previste in caso di inosservanza del regolamento condominiale
L’art. 70 disp. att. c.c. dispone che per le infrazioni al regolamento di condominio possa essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a 200 euro e, in caso di recidiva, fino a 800 euro. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie. L'irrogazione della sanzione è deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 c.c., ossia maggioranza dei presenti e 500 millesimi. La sanzione deve essere prevista dal regolamento e non può superare gli importi sopraindicati, a pena di nullità (Cass. 10329/2008). Deve trattarsi di una sanzione pecuniaria, giacché sono inammissibili sanzioni di diversa natura, infatti, misure diversamente afflittive sono in contrasto con i principi generali dell’ordinamento che non conferiscono al privato il diritto di autotutela, se non eccezionalmente (Cass. 820/2014). Ad esempio, è stata ritenuta illegittima la sanzione comminata dal regolamento e consistente nella rimozione delle auto irregolarmente posteggiate dai condomini nell’area comune.
(FONTE ESTERNA: www.altalex.com)